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“La civiltà micenea” e la 4^A (5 Commenti)

No, con i Micenei niente rap scanzonato: alunni troppo coinvolti e colpiti dalle figure carismatiche dell’Iliade. Allora struggimento e poesia, poesia dell’anima. Angela
ps. Nicola, scherzi? Siamo tutti pressati dal’incombente fine dell’a.s. e dunque è logico che ci accavalliamo. :)
Ragazzi, accettate richieste? :) Hug

Cantami. o diva, del Pelide Achille
l’ira funesta che mille sofferenze
impose agli Achei, molte vite eccellenti
di eroi gettò nell’Ade
e dei loro corpi fece preda
per i cani e gli uccelli…
Iliade, I, vv. 1-5

Ma non fia per questo
che da codardo io cada: periremo,
ma glorïosi, e alle future genti
qualche bel fatto porterà il mio nome…

Iliade, XXII, vv. 382-385

… E tu, onore di pianti, Ettore, avrai
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato,e finchè il Sole
risplenderà su le sciagure umane.

Dei Sepolcri, vv. 292-295

ps. vi siete salvati :): l’estate scorsa m’ero fissata che volevo registrarlo tutto, aheie :)

(Recitata da Viviana, Orlando, Gina smack della classe 4^A
II Circolo Don Bosco - Cardito (NA)

Clicca sull’immagine per il video

Tramonto Salpio

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Da “IL PROFETA” di K. Gibran (1 Commento)

E un uomo domandò: - Parlaci della Conoscenza -.
Ed egli rispose, dicendo:
-I vostri cuori conoscono in silenzio i segreti dei giorni e delle notti.
Ma le orecchie hanno sete di sentire il suono di questa conosenza del cuore.
Vorreste conoscere con parole ciò che avete sempre pensato.
Vorreste toccare con le dita il nudo corpo dei vostri sogni.

Ed è bene che lo facciate.
La sorgente nascosta della vostra anima dovrà scaturire e scorrere sussurrando verso il mare;
E il tesoro della vostra infinita profondità si rivelerà ai vostri occhi.
Ma non pesate con la bilancia quell’ignoto tesoro;
E non cercate di sondare le profondità della vostra conoscenza con l’asta o lo scandaglio.
Poichè il vostro Io è un mare sconfinato e incommensurabile.

Non dite: - Ho trovato la verità -, ma piuttosto : - Ho trovato una verità -.
Non dita: - Ho trovato il sentiero dell’anima -. Dite piuttosto: Sul mio sentiero ho incontrato l’anima in cammino -.
Poichè l’anima cammina in tutti i sentieri.
L’anima non cammina su di una linea, nè cresce come una canna.
L’anima dischiude se stessa come un fiore di loto dagli innumerevoli petali -.

clicca

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“The road not taken” by Robert Frost (0 Commenti, scrivi tu)

Ne ho fatto richiesta perchè mi appartiene e la dedico a lui e agli altri… che hanno fatto della scelta il principio guida della loro vita

Two roads diverged in a yellow wood,
And sorry I could not travel both
and be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could

Then took the other, as just as fair,
And having perhaps the better claim,
Because it was grassy and wanted wear,
Though as for the passing there
Had worn them really about the same,
And both that morning equally lay
In leaves no step had trodden black.
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way,
I doubted if I should ever come back.

I shall be telling this with a sigh
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I–
I took the one less traveled by,
and that has made all the difference.

(Letta da edda :) )

...la legge morale in me.... e il cielo stellato sopra di me (Kant)

… la legge morale in me… il cielo stellato sopra di me… (Kant)

Did, non è difficile capire chi metterò per “O capitano, mio capitano”

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Tra ” ‘O sole mio” di G. Capurro e “La quiete dopo la tempesta”di G. Leopardi (0 Commenti, scrivi tu)

Nell’ambito del progetto Geolandia in Scuola3d, gli alunni della 4^A primaria della scuola Don Bosco di Cardito (NA) si sono avvicinati ad un classico napoletano, ” ‘O sole mio”, che è bellissima non solo nella partitura musicale ma anche nel testo, veramente poetico.
A me è venuta in mente, per associazione di immagini, “La quiete dopo la tempesta” di Leopardi (del quale, sempre nell’ambito dello stesso progetto, vedi Vesuvio, avevo letto l’inizio de “La ginestra”) e così abbiamo registrato quanto di somigliante :D

‘O sole mio

“La quiete dopo la tempesta” abstract

Ciò che ne pensa Riccardo

I
Che bella cosa na jurnata ‘e sole!…
Che bella cosa una giornata di sole
N’aria serena doppo a na tempesta…
Un’aria serena dopo la tempesta
Pe’ ll’aria fresca pare giá na festa…
Per l’aria serena sembra già una festa
Che bella cosa na jurnata ‘e sole!…
Che bella cosa una giornata di sole!

…da “La quiete dopo la tempesta”
Passata è la tempesta:
odo augelli far festa, e la gallina
tornata in su la via,
che ripete il suo verso. Ecco il sereno
rompe là da ponente, alla montagna;
sgombrasi la campagna,
e chiaro nella valle il fiume appare.

II
Lùceno ‘e llastre d”a fenesta toja;
Luccicano i vetri della tua finestra;
na lavannara canta e se ne vanta…
una lavandaia canta e se ne vanta…
e pe’ tramente torce, spanne e canta,
mentre strizza, stende e canta,
lùceno ‘e llastre d”a fenesta toja…
luccicano i vetri della tua finestra….

… da “La quiete dopo la tempesta”
…a prova
vien fuor la femminetta a còr dell’acqua
della novella piova;…

…Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
per li poggi e el ville. Apre i balconi,
apre terrazzi e logge la famiglia:…

III
Quanno fa notte e ‘o sole se ne scenne,
Quando si avvicina la notte e il sole tramonta
mme vène quase na malincunia…
mi assale la malinconia
sott’a fenesta toja restarría,
resterei sotto la tua finestra
quanno fa notte e ‘o sole se ne scenne…
quando si avvicina la sera e il sole tramonta

(Letta e sonorizzata da tutti gli splendidi alunni della classe 4^A - Primaria Don Bosco - Cardito (NA)

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Da “L’uomo dal fiore in bocca” di L. Pirandello (1 Commento)

L’uomo dal fiore:Mi lasci dire! Se la morte, signor mio, fosse come uno di quegli insetti strani, schifosi, che qualcuno inopinatamente ci scopre addosso… Lei passa per via; un altro passante, all’improvviso, lo ferma e, cauto, con due dita protese le dice: - Scusi, permette? lei, egregio signore, ci ha la morte addosso -. E con quelle due dita protese, la piglia e la butta via… Sarebbe magnifica! Ma la morte non è come uno di quegli insetti schifosi. Tanti che passeggiano disinvolti e alieni, forse ce l’hanno addosso; nessuno la vede; ed essi pensano quieti e tranquili a ciò che faranno domani e doman l’altro. Ora io… caro signore, ecco… venga qua… qua sotto il lampione… venga…. le faccio vedere una cosa… Guardi qua, sotto questo baffo… qua, vede che bel tubero violaceo? Sa come si chiama questo? Ah, un nome dolcissimo… più dolce d’una caramella: - EPITELIOMA, si chiama. Pronunzi, sentirà che dolcezza: epitelioma… la morte, capisce? è passata. M’ha ficcato questo fiore in bocca e m’ha detto: - Tientelo, caro: ripasserò fra otto o dieci mesi! -. Ora mi dica lei, se con questo fiore in bocca, io me ne posso stare a casa tranquillo e quieto, come quella disgraziata vorrebbe. Le grido: - Ah, sì, e vuoi che ti baci? - Sì, baciami -.
Ma sa cosa ha fatto? Con uno spillo, l’altra settimana, s’è fatta uno sgraffio qua, sul labbro, e poi m’ha preso la testa e mi voleva baciare… baciare in bocca. Perchè dice che vuol morire con me. E’ pazza… A casa io non ci sto. Ho bisogno di starmene dietro le vetrine delle botteghe, io, ad ammirare la bravura dei giovani di negozio. Perchè, lei capisce, se mi si fa un momento di vuoto dentro… lei lo capisce, posso anche ammazzare come niente tutta la vita di uno che non conosco… cavare la rivoltella e ammazzare uno che come lei, per disgrazia, abbia perduto il treno… No, no non tema, caro signore: io scherzo! Me ne vado. Ammazzerei me, se mai…
Ma ci sono, di questi giorni, certe buone albicocche… Come le mangia lei? con tutta la buccia, è vero? Si spaccano a metà; si premono con due dita, per lungo… come due labbra socchiuse… Ah, che delizia! Mi ossequi la sua egregia signora e anche le sue figliuole in villeggiatura. Me le immagino vestite di bianco e celeste, in un bel prato verde in ombra… E mi faccia un piacere, domattina, quando arriverà. Mi figuro che il paesello disterà un poco dalla stazione. - All’alba, lei può fare la strada a piedi. - Il primo cespuglietto d’erba sulla proda. Ne conti i fili per me. Quanti fili saranno, tanti giorni ancora io vivrò. Me lo scelga bello grosso, mi raccomando. Buona notte, caro signore -.

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Da una poesia di Norman H. Russel, indiano Cherokee (0 Commenti, scrivi tu)

Come l’albero non finisce
con le punte delle sue radici
o dei suoi rami
e l’uccello non finisce
con le sue piume e col suo volo,
e la terra non finisce
con i suoi monti più alti
così anch’io non finisco
con le mie braccia,
i miei piedi,
la mia pelle,
ma mi espando di continuo
con la mia voce e il mio pensiero
oltre ogni spazio e ogni tempo,
perchè la mia anima è il mondo.

(Recitata da Francesco, Eduardo, Salvatore, Riccardo della classe 3^A - II Circolo Cardito)

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PIANNEFORTE ‘E NOTTE (S. Di Giacomo) (0 Commenti, scrivi tu)

Nu pianefforte ‘e notte
sona luntanamente,
e ‘a musica se sente
pe ll’aria suspirà.

E’ ll’una: dorme ‘o vico
ncopp’a sta nonna nonna
e’ nu mutivo antico
‘e tanto tiempo fa.

Dio, quante stelle ncielo!
Che luna! E c’aria doce!
Quanto na bella voce
vurrìa sentì cantà.

Ma sulitario e lento
more ‘o mutivo antico;
se fa cchiù cupo ‘o vico
dint’a ll’oscurità.

Ll’anema mia surtanto
rummane a sta fenesta.
Aspetta ancora. E resta,
ncantànnose, a penzà.

(Letta da Eddangela)

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II CORO dell’ “ADELCHI” (A. Manzoni) (0 Commenti, scrivi tu)

Sparsa le trecce morbide
sull’affannoso petto,
lenta le palme, e ròrida
di morte il bianco aspetto,
giace la pia, col tremolo
sguardo cercando il ciel.

Cessa il compianto: unanime
s’innalza una preghiera:
calata in su la gelida
fronte, una man leggiera
sulla pupilla cerula
stende l’estremo vel.

Sgombra, o gentil, dall’ansia
mente i terrestri ardori;
leva allEteno u candido
pensier d’offerta, e muori:
fuor della vita è il temine
del lungo tuo martir.

Tal della mesta, immobile
era quaggiuso il fato:
sempre un obblio di chiedere
che le saria negato:
e al Dio de’ santi ascendere,
santa del suo patir.

Ahi! nelle insonni tenebre,
pei claustri solitari,
tra il canto delle vergini,
ai supplicati altari,
sempre al pensier tornavano
gl’irrevocati dì;

quando ancor cara, improvida
d’un avvenir mal fido,
ebbra spirò le vivide
aure del Franco lido,
e tra le nuore Saliche
invidiata uscì:

quando da un poggio aereo,
il bion crin gemmata,
vedea nel pian discorrere
la caccia affaccendata,
e sulle sciolte redini
chino il chiomato sir;

e dietro a lui la furia
de’ corridor fumanti;
e lo sbandarsi, e il rapido
resir dei veltri ansanti;
e dai tentati triboli
l’irto cinghiale uscir;

e la battuta polveere
rigar di sangue colto
dal regio stral: la tenera
alle donzelle il volto
volgea repente, pallida
d’amabil terrore.

Oh Mosa errante! oh tepidi
lavacri d’Aquisgrano!
ove deposta l’orrida
maglia, il guerrier sovrano
scendea del campo a tergere
il nobile sudor!

Come rugiada al cespite
dell’erba inaridita,
fresca nwegli arsi calami
fa rifluir la vita,
che verdi ancor risorgono
nel temperato albor;

tale al pensier, cui l’empia
virtù d’amor fatica,
discende il refrigerio
d’una parola amica,
e il cor diverte ai placidi
gaudii d’un altro amor.

Ma come il sol che reduce
l’erta infocata scende,
e con la vampa assidua
l’immobil aura incende,
risorti appena i gracili
steli riarde il suol,

ratto così dal tenue
obblio torna immortale
l’amor sopito, e l’anima
impaurita assale
e le sviate immagini
richiama al noto duol.

Sgombra, o gentil, dall’ansia
mente i terrestri ardiri;
leva all’Eterno un candido
pensier d’offerta, e muori:
nel suol che dee la tenera
tua spoglia ricoprir,

altre infelici dormono,
che ilo duol consunse; orbate
spose dal brando, e vergini
indarno fidanzate;
madri, che i nati videro
trafitti impallidir.

Te della rea progenie
degli oppressor dicesa,
cui fu prodezza il numero,
cui fu ragion l’offesa,
e dritto il sangue, e gloria
il non aver pietà,

te collocò la provida
sventura in fra gli oppressi:
muori compianta e placida:
scendi a dormir con essi:
alle incolpate cenerri
nessuno insulterà.

Muori; e la faccia esanime
si ricomponga in pace;
com’era allor che impròvida
d’un avvenir fallace,
lievi pensier virginei
solo pingea. Così

dalle squarciate nuvole,
si svolge il sol cadente,
e dietro il monte, imporpora
il trepido occidente:
al pio colono augurio
di più sereno dì.

(Letta da Eddangela)

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Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (G. Leopardi) (0 Commenti, scrivi tu)

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
contemplandoi deserti, indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
la vita del pastore.
Sorge in sul primo albore,ùmove la greggia oltre pel campo, e vede
greggi, fontane ed erbe;
poi stanco si riposa in su la sera;
altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
al pastor la sua vita,
la vostra vita a voi? dimmi: ove tende
questo vagar mio breve,
il tuo corso immortale?

Vecchierel bianco, infermo,
mezzo vestito e scalzo,
con gravissimo fascio in su le spalle,
per montagna e per valle,
per sassi acuti ed alta rena, e fratte,
al vento, alla tempesta, e quando avvampa
l’ora, e quando poi gela,
corre via, corre, anèla,
varca torrenti e stagni,
cade, risorge, e più e più s’affretta,
senza posa o ristoro,
lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
colà dove la via
e dove il tanto affaticar fu vòlto:
abisso orrido, immenso,
ov’ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
è la vita mortale.

Nasce l’uomo a fatica,
ed è rischio di morte il nascimento.
prova pena e tormento
per prima cosa; e in sul principio stesso
la madre e il genitore
il prende a consolar dell’esser nato.
Poi che crescendo viene,
l’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
con atti e con parole
studiasi fargli core,
e consolarlo dell’umano stato:
altro ufficio più grato
non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perchè dare al sole,
perchè reggere in vita
chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
perchè da noi si dura?
Intatta luna, tale
è lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
e forse del mio dir poco ti cale.

Pur tu, solinga, eterna peregrina,
cge sì pensosa sei, tu forse intendi,
questo viver terreno,
il patir nostro, il sospirar, che sia;
che sia questo morir, questo supremo
scolorar della terra, e venir meno
ad ogni usata compagnia.
E tu certo comprendi
il perchè delle cose, e vedi il frutto
del mattin, della sera,
del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
rida la primavera,
a chi giovi l’ardore, e che procacci
il verno co’ suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
che son celate al semplice pastore.

Spesso quand’io ti miro
star così muta in sul deserto piano,
che, in suo giro lontano, al ciel confina;
ovver con la mia greggia
seguirmi viaggiando a mano a mano;
e quando miro in cielo arder le stelle;
dico fra me pensando:
A che tante facelle?
che fa l’aria infinita, e quel profondo
infinito seren? che vuol dir questa
solitudine immensqa? ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
smisurata e superba
e dell’innumerabile famiglia;
poi di tanto adoprar, di tanti moti
d’ogni celeste, ogni terrena cosa,
girando senza posa,
per tornar sempre là donde son mosse;
uso alcuno, alcun frutto
indovinar non so: Ma tu per certo,
giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
che degli eterni giri,
che dell’esser mio frale,
qualche bene o contento
avrà fors’altri; a me la vita è male.

O greggia mia che posi, oh te beata,
che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perchè d’affanno
quasi libera vai;
ch’ogni stento, ogni danno,
ogni estremo timor subito scordi;
ma più perchè giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,
tu se’ queta e contenta;
e gran parte dell’anno
senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,
e un fastidio m’ingombra
la mente, ed uno spron quasi mi punge
sì che , sedendo, più che mai son lunge
da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
e non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
o greggia mia, nè di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perchè giacendo a bell’agio, ozioso,
s’appaga ogni animale;
me, s’io giaccio in riposo, il tèdio assale?

Forse s’avess’io l’ale
da volar su le nubi,
e noverar le stelle ad una ad una,
o come il tuono errar di giogo in giogo,
più felice sarei, dolce mia greggia,
più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:
forse in qual forma, in quale
stato che sia, dentro covìle o cuna,
è funesto a chi nasce il dì natale.

(Letta da Eddangela)

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L’albero d’autunno (Michele) (0 Commenti, scrivi tu)

L’albero d’autunno
molto vecchio come una chioccia
che si addormenta quando c’è il sole
splende come la luna piena
che illumina il cielo di notte.

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