Pera colui che prima osò la mano
Armata alzar su l’innocente agnella
E sul placido bue: nè il truculento
Cor gli piegàro i teneri belati,
Nè i pietosi mugiti, nè le molli
Lingue lambenti tortuosamente
La man che il loro fato aimè stringea.
Tal ei parla o signor: ma sorge in tanto
A quel pietoso favellar da gli occhi
De la tua dama dolce lagrimetta
Pari a le stille tremule brillanti,
Che a la nova stagion gemendo vanno
Da i palmiti di Bacco entro commossi
Al tiepido spirar de le prim’aure
Fecondatrici. Or le sovvien del giorno,
Ahi fero giorno! allor che la sua bella
Vergine cuccia de le Grazie alunna,
Giovanilmente vezzeggiando, il piede
Villan del servo con gli eburnei denti
Segnò di lieve nota: e questi audace
Col sacrilego piè lanciolla: ed ella
Tre volte rotolò; tre volte scosse
Lo scompigliato pelo, e da le vaghe
Nari soffiò la polvere rodente:
Indi i gemiti alzando, aita aita
Parea dicesse; e da le aurate volte
A lei la impietosita eco rispose;
E dall’infime chiostre i mesti servi
Asceser tutti; e da le somme stanze
Le damigelle pallide tremanti
Precipitaro. Accorse ognuno: il volto
Fu d’essenze spruzzato a la tua dama:
Ella rinvenne al fine. Ira e dolore
L’agitavano ancor: fulminei sguardi
Gettò sul servo; e con languida voce
Chiamò tre volte la sua cuccia: e questa
Al sen le corse; in suo tenor vendetta
Chieser sembrolle: e tu vendetta avesti
Vergine cuccia de le Grazie alunna.
L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo
Udì la sua condanna. A lui non valse
Merito quadrilustre: a lui non valse
Zelo d’arcani ufici. Ei nudo andonne
De le assise spogliato onde pur dianzi
Era insigne a la plebe: e in van novello
Signor sperò; ché le pietose dame
Inorridìro; e del misfatto atroce
Odiàr l’autore. Il perfido si giacque
Con la squallida prole e con la nuda
Consorte a lato su la via spargendo
Al passeggero inutili lamenti:
E tu vergine cuccia idol placato
Da le vittime umane isti superba.
Da “Il giorno” di Giuseppe Parini (1763-1801)
(Recitata da Bruno Portesan, regista e attore)