Archivio di Luglio, 2008


Troiani (K. Kavafis 1863-1933) (0 commenti, scrivi tu)

Sono, gli sforzi di noi sventurati,
sono, gli sforzi nostri, gli sforzi dei Troiani.
Qualche successo, qualche fiducioso
impegno; ed ecco, incominciamo
a prendere coraggio, a nutrire speranze.

Ma qualche cosa spunta sempre, e ci ferma.
Spunta Achille di fronte a noi sul fossato
e con le grida enormi ci spaura.

Sono, gli sforzi nostri, gli sforzi dei Troiani.
Crediamo che la nostra decisione e l’ardire
muteranno una sorte di rovina.
E stiamo fuori, in campo, per lottare.

Poi, come giunge l’attimo supremo,
ardire e decisione se ne vanno:
l’anima nostra si sconvolge, e manca;
e tutt’intorno alle mura corriamo,
cercando nella fuga scampo.

La nostra fine è certa. Intonano, lassù;
sulle mura, il canto funebre.
Dei nostri giorni piangono memorie, sentimenti.
Pianto amaro di Priamo e d’Ecuba su noi.

(Recitata da Gabriella garofalo)

Edizioni Mondadori - Traduzione di Filippo Maria Pontani

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Ogni orologio (Gabriella Garofalo) (0 commenti, scrivi tu)

Ogni orologio va per suo conto,
non ha suoni la materia
se l’anima rialza
dura come d’estate l’erba,
avida di pioggia -
non c’è problema,
moriranno tutte le paure
ripete luna, non sembra
sconvolta più di tanto,
ma non lo perde
il vizio di rischiararti
con le prime parole che le vengono,
perché piuttosto non discute
con stelle poco entusiaste di lavoro?
Forse un’altra perdita di tempo,
come le strategie contro la roccia la terra
di radici, di piante che sperano levarsi
nel prossimo futuro, magari in settimana -
ravvediti, nessun dio percuote
adirato la tua terra,
non hai rilievi non hai roccia,
persino nel sonno ti congedano -
costola di Adamo,
grembo che di schianto
cede.

(Recitata da Roberto Carusi, attore)

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Sant’Ambrogio (Giuseppe Giusti 1809-1850) (0 commenti, scrivi tu)

Vostra Eccellenza che mi sta in cagnesco
Per que’ pochi scherzucci di dozzina,
E mi gabella per anti-tedesco
Perché metto le birbe alla berlina,
O senta il caso avvenuto di fresco,
A me che girellando una mattina,
Capito in Sant’Ambrogio di Milano,
In quello vecchio, là, fuori di mano.
M’era compagno il figlio giovinetto
D’un di que’ capi un po’ pericolosi,
Di quel tal Sandro, autor d’un romanzetto
Ove si tratta di Promessi Sposi…
Che fa il nesci, Eccellenza? o non l’ha letto?
Ah, intendo: il suo cervel, Dio lo riposi,
In tutt’altre faccende affaccendato,
A questa roba è morto e sotterrato.
Entro, e ti trovo un pieno di soldati,
Di que’ soldati settentrionali,
Come sarebbe Boemi e Croati,
Messi qui nella vigna a far da pali:
Difatto se ne stavano impalati,
Come sogliono in faccia a’ generali,
Co’ baffi di capecchio e con que’ musi,
Davanti a Dio diritti come fusi.
Mi tenni indietro; ché piovuto in mezzo
Di quella maramaglia, io non lo nego
D’aver provato un senso di ribrezzo
Che lei non prova in grazia dell’impiego.
Sentiva un’afa, un alito di lezzo;
Scusi, Eccellenza, mi parean di sego,
In quella bella casa del Signore,
Fin le candele dell’altar maggiore.
Ma in quella che s’appresta il sacerdote
A consacrar la mistica vivanda,
Di subita dolcezza mi percuote
Su, di verso l’altare, un suon di banda.
Dalle trombe di guerra uscian le note
Come di voce che si raccomanda,
D’una gente che gema in duri stenti
E de’ perduti beni si rammenti.
Era un coro del Verdi; il coro a Dio
Là de’ Lombardi miseri assetati;
Quello: O Signore, dal tetto natio,
Che tanti petti ha scossi e inebriati.
Qui cominciai a non esser più io;
E come se que’ côsi doventati
Fossero gente della nostra gente,
Entrai nel branco involontariamente.
Che vuol ella, Eccellenza, il pezzo è bello,
Poi nostro, o poi suonato come va;
E coll’arte di mezzo, e col cervello
Dato all’arte, l’ubbìe si buttan là.
Ma cessato che fu, dentro, bel bello
Io ritornava a star come la sa;
Quand’eccoti, per farmi un altro tiro,
Da quelle bocche che parean di ghiro,
Un cantico tedesco lento lento
Per l’aer sacro a Dio mosse le penne:
Era preghiera, e mi parea lamento,
D’un suono grave, flebile, solenne,
Tal, che sempre nell’anima lo sento:
E mi stupisco che in quelle cotenne,
In que’ fantocci esotici di legno,
Potesse l’armonia fino a quel segno.
Sentìa nell’inno la dolcezza amara
De’ canti uditi da fanciullo; il core
Che da voce domestica gl’impara,
Ce li ripete i giorni del dolore:
Un pensier mesto della madre cara,
Un desiderio di pace e di amore,
Uno sgomento di lontano esilio,
Che mi faceva andare in visibilio,
E quando tacque, mi lasciò pensoso
Di pensieri più forti e più soavi.
Costor, dicea tra me, Re pauroso
Degl’italici moti e degli slavi,
Strappa a’ lor tetti, e qua senza riposo
Schiavi gli spinge per tenerci schiavi;
Gli spinge di Croazia e di Boemme,
Come mandre a svernar nelle Maremme.
A dura vita, a dura disciplina,
Muti, derisi, solitarî stanno,
Strumenti ciechi d’occhiuta rapina
Che lor non tocca e che forse non sanno:
E quest’odio che mai non avvicina
Il popolo lombardo all’alemanno,
Giova a chi regna dividendo, e teme
Popoli avversi affratellati insieme.
Povera gente! lontana da’ suoi,
In un paese qui che le vuol male,
Chi sa che in fondo all’anima po’ poi
Non mandi a quel paese il principale!
Gioco che l’hanno in tasca come noi. -
Qui, se non fuggo, abbraccio un Caporale,
Colla su’ brava mazza di nocciuolo,
Duro e piantato lì come un piolo.

(Recitata da Roberto Carusi, attore)

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L’opportunista di Giuseppe Giusti (1809-1850) (0 commenti, scrivi tu)

Felice te che nella tua carriera
T’avvenne di chiappar la via più trita,
E ti s’affà la scesa e la salita,
E sei omo da bosco e da riviera.
Stamani a Corte, al Circolo stasera,
Domattina a braccetto a un Gesuita;
Poi ricalcando l’orme della vita,
Doman l’altro daccapo, al sicutera.
Che se codesta eterna giravolta
A chi sogna Plutarco e i vecchî esempi
Il delicato stomaco rivolta,
Va pure innanzi e lascia dir gli scempi,
Ché tra la gente arguta e disinvolta
Questo si chiama accomodarsi ai tempi.

(Recitata da Roberto Carusi, attore)

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Il Re travicello di Giuseppe Giusti (1809-1850) (0 commenti, scrivi tu)

Al Re travicello
Piovuto ai ranocchi,
Mi levo il cappello
E piego i ginocchi;
Lo predico anch’io
Cascato da Dio:
Oh comodo, oh bello
Un Re Travicello!
Calò nel suo regno
Con molto fracasso;
Le teste di legno
Fan sempre del chiasso:
Ma subito tacque,
E al sommo dell’acque
Rimase un corbello
Il Re Travicello.
Da tutto il pantano
Veduto quel coso,
“È questo il Sovrano
Così rumoroso?
(S’udì gracidare)
Per farsi fischiare
Fa tanto bordello
Un Re Travicello?
Un tronco piallato
Avrà la corona?
O Giove ha sbagliato,
Oppur ci minchiona:
Sia dato lo sfratto
Al Re mentecatto,
Si mandi in appello
Il Re Travicello.”
Tacete, tacete;
Lasciate il reame,
O bestie che siete,
A un Re di legname.
Non tira a pelare,
Vi lascia cantare,
Non apre macello
Un Re Travicello.
Là là per la reggia
Dal vento portato,
Tentenna, galleggia,
E mai dello Stato
Non pesca nel fondo:
Che scienza di mondo!
Che Re di cervello
È un Re Travicello!
Se a caso s’adopra
D’intingere il capo,
Vedete? di sopra
Lo porta daccapo
La sua leggerezza.
Chiamatelo Altezza,
Ché torna a capello
A un Re Travicello.
Volete il serpente
Che il sonno vi scuota?
Dormite contente
Costì nella mota,
O bestie impotenti:
Per chi non ha denti,
È fatto a pennello
Un Re Travicello!
Un popolo pieno
Di tante fortune,
Può farne di meno
Del senso comune.
Che popolo ammodo,
Che Principe sodo,
Che santo modello
Un Re Travicello!

(Recitata da Roberto Carusi, attore)

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I più tirano i meno di Giuseppe Giusti (1809-1850) (0 commenti, scrivi tu)

I più tirano i meno

Che i più tirano i meno è verità,
Posto che sia nei più senno e virtù;
Ma i meno, caro mio, tirano i più,
Se i più trattiene inerzia o asinità.
Quando un intero popolo ti dà
Sostegno di parole e nulla più,
Non impedisce che ti butti giù
Di pochi impronti la temerità.
Fingi che quattro mi bastonin qui,
E lì ci sien dugento a dire: ohibò!
Senza scrollarsi o muoversi di lì;
E poi sappimi dir come starò
Con quattro indiavolati a far di sì,
Con dugento citrulli a dir di no.

(Recitata da Roberto Carusi, attore)

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Il deputato di Giuseppe Giusti (1809-1850) (0 commenti, scrivi tu)

Rosina, un deputato
Non preme una saetta
Che s’intenda di Stato:
Se legge una gazzetta,
E se la tiene a mente,
È un Licurgo eccellente.
Non importa neppure
Che sappia di finanza:
Di queste seccature
Sa il nome e glien’avanza;
E se non sa di legge,
Sappi che la corregge.
Ma più bravo che mai
Va detto, a senso mio,
Se ne’ pubblici guai,
Lasciando fare a Dio,
Si sbirba la tornata,
A un tanto la calata.
Che asino, Rosina,
Che asino è colui
Che s’alza la mattina
Pensando al bene altrui!
Il mio Signor Mestesso,
È il prossimo d’adesso.
l’onore è un trabocchetto
Saltato dal più scaltro;
La patria, un poderetto
Da sfruttare e nient’altro;
La libertà si prende,
Non si rende, o si vende.
L’armi sono un pretesto
Per urlar di qualcosa;
L’Italia è come un testo
Tirato sulla chiosa
E de’ Bianchi e de’ Neri,
Come Dante Alighieri.
Rispetto all’eguaglianza,
Superbi tutti e matti:
Quanto alla fratellanza,
Beati i cani e i gatti:
Senti che patti belli
Che ti fanno i fratelli?
“Fratelli, ma perdìo
Intendo che il fratello
La pensi a modo mio;
Altrimenti, al macello.”
A detta di Caino,
Abele era codino.

(Recitata da Roberto Carusi, attore)

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Da Alice nel paese delle meraviglie di L. Carroll (1832-1898) (0 commenti, scrivi tu)

From twelve chapter “Alice’s evidence”

White rabbit reads:

They told me you had been to her,
And mentioned me to him:
She gave me a good character,
But said I could not swim.

He sent them word I had not gone
(We know it to be true):
If she should push the matter on,
What would become of you?

I gave her one, they gave him two,
You gave us three or more;
They all returned from him to you,
Though they were mine before.

If I or she should chance to be
Involved in this affair,
He trusts to you to set them free,
Exactly as we were.

My notion was that you had been
(Before she had this fit)
An obstacle that came between
Him, and ourselves, and it.

Don’t let him know she liked them best,
For this must ever be
A secret, kept from all the rest,
Between yourself and me.

(Recitata da Gabriella Garofalo)

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Avvertimento a un giovane scrittore di Giuseppe Giusti (1809-1850) (0 commenti, scrivi tu)

Di concetti difficili e stravolti
Non fabbricare a te sfingi e chimere:
Cerca modi spediti e disinvolti,
E non far, come i dotti di mestiere,
Rime col tiro secco, o versi sciolti
Che vanno avanti a calci nel sedere;
Ma pensa e di’ le cose tali e quali,
Pensatamente schiette e naturali.

(Recitata da Roberto Carusi, attore)

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La fama di scrittore di G. Giusti (1809-1850) (0 commenti, scrivi tu)

La nomèa di poeta e letterato
Ti reca, amico mio, di gran bei frutti;
E il più soave è l’essere da tutti
E lodato e cercato e importunato.

Il grullo, l’ebete, il porco beato,
Lo spensierato, ed altri farabutti,
Fanno in pace i lor fatti o belli o brutti,
Ed hanno tempo di ripigliar fiato.

Ma l’ingegno che spopola e che spalca
È l’asino di un pubblico insolente
Che mai lo pasce e sempre lo cavalca:

E gli bisogna, o disperatamente
Piegar la groppa a voglia della calca,
O dare in bestia come l’altra gente.

(Recitata da Roberto Carusi, attore)

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