Archivio della categoria ‘Poesie recitate da artisti’


The Dream (John Donne) (0 commenti, scrivi tu)

Dear love, for nothing less than thee
Would I have broke this happy dream;
It was a theme
For reason, much too strong for fantasy.
Therefore thou waked’st me wisely ; yet
My dream thou brokest not, but continued’st it.
Thou art so true that thoughts of thee suffice
To make dreams truths, and fables histories;
Enter these arms, for since thou thought’st it best,
Not to dream all my dream, let’s act the rest.
As lightning, or a taper’s light,
Thine eyes, and not thy noise waked me;
Yet I thought thee
— For thou lovest truth — an angel, at first sight;
But when I saw thou saw’st my heart,
And knew’st my thoughts beyond an angel’s art,
When thou knew’st what I dreamt, when thou knew’st when
Excess of joy would wake me, and camest then,
I must confess, it could not choose but be
Profane, to think thee any thing but thee.
Coming and staying show’d thee, thee,
But rising makes me doubt, that now
Thou art not thou.
That love is weak where fear’s as strong as he;
‘Tis not all spirit, pure and brave,
If mixture it of fear, shame, honour have;
Perchance as torches, which must ready be,
Men light and put out, so thou deal’st with me;
Thou camest to kindle, go’st to come ; then I
Will dream that hope again, but else would die.

(Recitata da Gabriella Garofalo, poeta)

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Conchiglie sulla sabbia (Germano Mandrillo) (1 commento)

Conchiglie sulla sabbia
case disabitate
lasciate con rabbia
brillano come biglie
calde sotto il sole
belle e fragili
stelle cadute
di vita passata,
futuri di tempi lontani
aspettano mute
il tocco della mano
che le coglie lieve,
fiori che raccontano
i mille tremori del mare:
piedini di bimbi felici
e canti di balene,
e inganni di reti
e burle di lenze impigliate
e navi veloci
che passano ignare,
e naufraghi
che cadono lenti,
stupiti di dover morire
tra fiabe senza fine
di sirene innamorate.

(Recitata dall’autore)

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La strada che non presi (Robert Frost) (1 commento)

Due strade divergevano in un bosco giallo
e mi dispiaceva non poterle percorrere entrambe
ed essendo un solo viaggiatore, rimasi a lungo
a guardarne una fino a che potei.

Poi presi l’altra, perché era altrettanto bella,
e aveva forse l’aspetto migliore,
perché era erbosa e meno consumata;
Sebbene il passaggio le avesse rese
quasi simili
ed entrambe quella mattina erano lì uguali
con foglie che nessun passo aveva annerito.
Oh, misi da parte la prima per un altro giorno!
Pur sapendo come una strada porti ad un’altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.

Lo racconterò con un sospiro
da qualche parte tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco, e io -
io presi la meno percorsa,
e quello ha fatto tutta la differenza.

(Recitata da Angela Riccardi, attrice e doppiatrice)

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Tu (Fernanda Romagnoli) (0 commenti, scrivi tu)

Tu, che chiamiamo anima. Tu profuga,
reietta, indesiderabile. Tu transfuga
dal soffio dell’origine.
Non ti spetta razione né coperta
né foglio di reimbarco.
Per registri e frontiere:
non esisti.
Ma in sere come queste, di cangianti
vaticinii fra i monti,
ad ogni varco
può apparire improvvisa la tua faccia
d’eremita o brigante.
«Fronda smossa,
pietra caduta» trasale in sé il passante
che la tua ombra assilla
di crinale in crinale,
mentre corri ridendo nell’occhiata
del cielo, che ti nomina e sigilla.

Recitata da Gabriella Garofalo, poeta

Da: Fernanda Romagnoli, Il tredicesimo invitato, Garzanti, Milano 1980

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A coloro che verranno (Bertolt Brecht 1939) (1 commento)

Davvero, vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
la notizia atroce
non l’ha saputa ancora.

Quali tempi sono questi, quando
discorrere d’alberi è quasi un delitto,
perché su troppe stragi comporta silenzio!
E l’uomo che ora traversa tranquillo la via
mai più potranno raggiungerlo dunque gli amici
che sono nell’affanno?

È vero: ancora mi guadagno da vivere.
Ma, credetemi, è appena un caso. Nulla
di quel che fo m’autorizza a sfamarmi.
Per caso mi risparmiano. (Basta che il vento giri,
e sono perduto).

“Mangia e bevi!”, mi dicono: “E sii contento di averne”.
Ma come posso io mangiare e bere, quando
quel che mangio, a chi ha fame lo strappo, e
manca a chi ha sete il mio bicchiere d’acqua?
Eppure mangio e bevo.

Vorrei anche essere un saggio.
Nei libri antichi è scritta la saggezza:
lasciar le contese del mondo e il tempo breve
senza tema trascorrere.
Spogliarsi di violenza,
render bene per male,
non soddisfare i desideri, anzi
dimenticarli, dicono, è saggezza.
Tutto questo io non posso:
davvero, vivo in tempi bui!

Nelle città venni al tempo del disordine,
quando la fame regnava.
Tra gli uomini venni al tempo delle rivolte,
e mi ribellai insieme a loro.
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.

Il mio pane, lo mangiai tra le battaglie.
Per dormire mi stesi in mezzo agli assassini.
Feci all’amore senza badarci
e la natura la guardai con impazienza.
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.

Al mio tempo le strade si perdevano nella palude.
La parola mi tradiva al carnefice.
Poco era in mio potere. Ma i potenti
posavano più sicuri senza di me; o lo speravo.
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.

Le forze erano misere. La meta
era molto remota.
La si poteva scorgere chiaramente, seppure anche per me
quasi inattingibile.
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.

Voi che sarete emersi dai gorghi
dove fummo travolti
pensate
quando parlate delle nostre debolezze
anche ai tempi bui
cui voi siete scampati.

Andammo noi, più spesso cambiando paese che scarpe,
attraverso le guerre di classe, disperati
quando solo ingiustizia c’era, e nessuna rivolta.

Eppure lo sappiamo:
anche l’odio contro la bassezza
stravolge il viso.
Anche l’ira per l’ingiustizia
fa roca la voce. Oh, noi
che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,
noi non si potè essere gentili.

Ma voi, quando sarà venuta l’ora
che all’uomo un aiuto sia l’uomo,
pensate a noi
con indulgenza.

(Recitata da Angela Riccardi, attrice e doppiatrice)

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X AGOSTO (Giovanni Pascoli) (0 commenti, scrivi tu)

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

(Recitata da Bruno Portesan, attore e regista)

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Fui, volai, caddi tremante (Amelia Rosselli) (0 commenti, scrivi tu)

Fui, volai, caddi tremante nelle
braccia di Dio, e che quest’ultimo sospiro
sia tutt’il mio essere, e che l’onda premi,
stretti in difficile unione, il mio sangue,
e da quell’inganno supremo mi si renda
la morte divenuta vermiglia, ed io
che dalle commosse risse dei miei compagni staccavo
quell’ansia di morire
godrò, infine, ? l’ere della ragione;
e che tutti i fiori bianchi della riviera, e
che tutto il peso di Dio
battano sulle mie prigioni.

Da Variazioni belliche, Garzanti, Milano 1964

(Recitata da Gabriella Garofalo, poeta)

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Come se chiedessi una comune Elemosina (E. Dickinson) (1 commento)

Come se chiedessi una comune Elemosina,
E nella mia mano stupita
Uno Sconosciuto comprimesse un Regno,
Ed io, sconcertata, restassi -
Come se chiedessi all’Oriente
Se avesse un Mattino per me -
E lui sollevasse le sue Dighe purpuree,
E mi ubriacasse d’Aurora!

(Recitata da Angela Riccardi, attrice e doppiatrice)

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8 settembre (Franca Landi) (0 commenti, scrivi tu)

8 settembre

sventolano nel vento le bandiere.

Il Paese è in festa
scalpitanti cavalli sono in pista.
Si rivivono emozioni passate,
tramandate, di antichi valori.

Costumi, ripetuti, nel respiro
sfuggente degli anni.

Tra le mani, gli scelti dalla sorte,
stringeranno un cencio dipinto
con il palio che ha vinto.
Poi la sera la folla
come il fiume va al mare
si ritrova a guardare
con dnaso all’insù
verso un cielo
che fa da scenario
a grovigli di luci sparate
colorate, che esplodono
e si espandono in cielo
e ritornano giù con un
… oooh!
L’emozione è crescente!
Con tre botti finali
si saluta la agente
che man mano si perde
per le vie del paese.

Voci lontane sfumano
dentro il latrar dei cani.
Rimane lo sfrusciar
delle bandiere
al vento “montagnolo”,
che il Ciolo, con orgoglio
ha messo a ogni balcone.

Poi …ritorna il silenzio.
In un cielo offuscato
volteggiano
in un volo sbandato
i piccioni.

(Scritta e recitata da Franca Landi)

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La vergine cuccia (Giuseppe Parini) (0 commenti, scrivi tu)

Pera colui che prima osò la mano
Armata alzar su l’innocente agnella
E sul placido bue: nè il truculento
Cor gli piegàro i teneri belati,
Nè i pietosi mugiti, nè le molli
Lingue lambenti tortuosamente
La man che il loro fato aimè stringea.
Tal ei parla o signor: ma sorge in tanto
A quel pietoso favellar da gli occhi
De la tua dama dolce lagrimetta
Pari a le stille tremule brillanti,
Che a la nova stagion gemendo vanno
Da i palmiti di Bacco entro commossi
Al tiepido spirar de le prim’aure
Fecondatrici. Or le sovvien del giorno,
Ahi fero giorno! allor che la sua bella
Vergine cuccia de le Grazie alunna,
Giovanilmente vezzeggiando, il piede
Villan del servo con gli eburnei denti
Segnò di lieve nota: e questi audace
Col sacrilego piè lanciolla: ed ella
Tre volte rotolò; tre volte scosse
Lo scompigliato pelo, e da le vaghe
Nari soffiò la polvere rodente:
Indi i gemiti alzando, aita aita
Parea dicesse; e da le aurate volte
A lei la impietosita eco rispose;
E dall’infime chiostre i mesti servi
Asceser tutti; e da le somme stanze
Le damigelle pallide tremanti
Precipitaro. Accorse ognuno: il volto
Fu d’essenze spruzzato a la tua dama:
Ella rinvenne al fine. Ira e dolore
L’agitavano ancor: fulminei sguardi
Gettò sul servo; e con languida voce
Chiamò tre volte la sua cuccia: e questa
Al sen le corse; in suo tenor vendetta
Chieser sembrolle: e tu vendetta avesti
Vergine cuccia de le Grazie alunna.
L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo
Udì la sua condanna. A lui non valse
Merito quadrilustre: a lui non valse
Zelo d’arcani ufici. Ei nudo andonne
De le assise spogliato onde pur dianzi
Era insigne a la plebe: e in van novello
Signor sperò; ché le pietose dame
Inorridìro; e del misfatto atroce
Odiàr l’autore. Il perfido si giacque
Con la squallida prole e con la nuda
Consorte a lato su la via spargendo
Al passeggero inutili lamenti:
E tu vergine cuccia idol placato
Da le vittime umane isti superba.

Da “Il giorno” di Giuseppe Parini (1763-1801)

(Recitata da Bruno Portesan, regista e attore)

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