Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che tovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetelele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Abbracciami estate.
Con lunghe serate
umide,
dolci,
di stelle incantate.
Ho sete di vita.
Ricordo al mio cuore i bianchi fiori,
appesi
affacciati
al pergolato dei nonni,
che filtrava sole,
tra foglie già secche,
che filtrava luna,
tra canti di grilli.
Profuma la sera di menta,
oleandro,
e mele caramellate.
Abbracciami estate.
E sento le grida,
gioiose,
di bimbi giocosi e felici,
che strade crescevano forti,
in campane disegnate
lanciavano sassi.
Abbracciami estate,
ho sete di vita.
Così fermi un istante!
Sorridete!
E al lampo del magnesio
furono tutti insieme nella lastra.
Il velo nero spariva nelle mani
dischiuse per un volo di colombe
dentro il giardino inglese.
Singole note raccolte in assonanza
avanzano tenendosi per mano,
pallidi nell’esame
dell’essere guardati.
Poi quando la luce della sera
ridipinge di seppia lo scenario
si rifugiano ancora nell’istante
uniti nel gazebo
difesi dal sipario del sorriso.
Con il viso affondato nella madre
a piangere è soltanto la bambina
per quella timidezza
per cui ha vergogna di piangere.
Silenzio! Quale luce irrompe da quella finestra lassù?
È l’oriente, e Giulietta è il sole.
Sorgi, vivido sole, e uccidi l’invidiosa luna,
malata già e pallida di pena
perché tu, sua ancella, di tanto la superi in bellezza.
Non essere la sua ancella, poiché la luna è invidiosa.
Il suo manto di vestale è già di un verde smorto,
e soltanto i pazzi lo indosano. Gettalo via.
È la mia donna; oh, è il mio amore!
se soltanto sapesse di esserlo.
Parla, pure non dice nulla. Come accade?
Parlano i suoi occhi; le risponderò.
No, sono troppo audace; non parla a me;
ma due stelle tra le più lucenti del cielo,
dovendo assentarsi, implorano i suoi occhi
di scintillare nelle loro sfere fino a che non ritornino.
E se davvero i suoi occhi fossero in cielo, e le stelle nel suo viso?
Lo splendore del suo volto svilirebbe allora le stelle
come fa di una torcia la luce del giorno; i suoi occhi in cielo
fluirebbero per l’aereo spazio così luminosi
che gli uccelli canterebbero, credendo finita la notte.
Guarda come posa la guancia sulla mano!
Oh, fossi un guanto su quella mano
e potessi sfiorarle la guancia!