Spuntan le gemme sui ramoscelli
ecco che spira un bel venticello
vola nel cielo una capinera
finalmente è arrivata la Primavera;
nei campi occhieggiano le timide viole
accarezzate da un lieto sole
un bimbo corre col suo aquilone
e sente un coro che grida: amore.
Le spighe di grano indorano il campo
il sole splende su tutto il mondo
il cielo azzurro si estende beato
i fiori colorano il verde prato
sul mare dondola la pigra barca
nell’aria soffia una lieve brezza
il bimbo insegue il aquilone
ancora il coro che grida: amore!
Stanche le foglie cadon dai rami
come uno stuolo di antiche dame
un vento sferzante le spinge lontano
è già arrivata la stagione autunnale;
senti ruggire le onde spumose
calar la nebbia su tutto il paese
il bimbo in sogno col suo aquilone
risente il coro che grida: amore!
Le nuvole giocano a nascondino
un rovescio di pioggia nel mattino
la neve scende sulle montagne
un velo di brina sulla campagna;
il vento infuria sull’abitato
la luna illumina il cielo stellato
il bimbo, riposto il suo aquilone,
si unisce al coro che grida: amore!
(Scritta e recitata da Angela)
Tags: amore and stagioni |
Sento il respiro
del vento
che è in me…
Scava
si espande
mi riempie
rotola giù
alla fine
del mio essere
e come l’onda
s’infrange e
schiuma.
Possente e vittorioso
ripercorre
il suo cammino
per invadermi
e fluire
e poi rifluire
e ancora…
ancora…
ancora…
ancora…
Armonia di me.
(Scritta da Angela, finalmente oggi 26/6/2007)
Tags: sonorita |
Or le sovviene il giorno,
ahi fero giorno! allor che la sua bella
vergine cuccia de le Grazie alunna,
giovenilmente vezzeggiando, il piede
villan del servo con l’eburneo dente
segnò di lieve nota: ed egli audace
con sacrilego piè lanciolla: e quella
tre volte rotolò; tre volte scosse
gli scompigliati peli, e da le molli
nari soffiò la polvere rodente.
Indi i gemiti alzando: aita aita
parea dicesse; e da le aurate volte
a lei l’impietosita Eco rispose:
e dagl’infimi chiostri i mesti servi
asceser tutti; e da le somme stanze
le damigelle pallide tremanti
precipitâro. Accorse ognuno; il volto
fu spruzzato d’essenze a la tua Dama;
ella rinvenne alfin: l’ira, il dolore
l’agitavano ancor; fulminei sguardi
gettò sul servo, e con languida voce
chiamò tre volte la sua cuccia: e questa
al sen le corse; in suo tenor vendetta
chieder sembrolle: e tu vendetta avesti
vergine cuccia de le grazie alunna.
L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo
udì la sua condanna. A lui non valse
merito quadrilustre; a lui non valse
zelo d’arcani uficj: in van per lui
fu pregato e promesso; ei nudo andonne
dell’assisa spogliato ond’era un giorno
venerabile al vulgo. In van novello
signor sperò; ché le pietose dame
inorridìro, e del misfatto atroce
odiâr l’autore. Il misero si giacque
con la squallida prole, e con la nuda
consorte a lato su la via spargendo
al passeggiere inutile lamento:
e tu vergine cuccia, idol placato
da le vittime umane, isti superba.
(Recitata da Gianluigi Farati)
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O falce di luna calante
che brilli su l’acque deserte,
o falce d’argento, qual mèsse di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!
Aneliti brevi di foglie,
sospiri di fiori dal bosco
esalano al mare: non canto non grido
non suono pe’l vasto silenzio va.
Oppresso d’amor, di piacere,
il popol de’ vivi s’addorme …
O falce calante, qual mèsse di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!
(Recitata da Gianluigi Farati)
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Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
in sul mio primo giovenile errore,
quand’era in parte altr’uom da quel, ch’i’ sono;
del vario stile in ch’io piango e ragiono
fra le vane speranze, e ’l van dolore;
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, non che perdono.
Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;
e del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.
(Recitata da Gianluca Farati)
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Sono sola in mezzo al mare
aggrappata ad un relitto
guardo intorno le rovine
di quel ch’era la mia vita.
Tutt’intorno è una distesa
sempre uguale, uniforme,
c’è il silenzio innaturale
che segue alla tempesta.
Sono sola e tanto stanca
non ho voglia di salvarmi
non ho forza di nuotare
e approdare in un deserto.
Sono esausta e le mie mani,
stanche, lasciano la presa
sto affondando e chiudo gli occhi
e afferro gli ultimi pensieri.
Dio, che faccio? La dò vinta?
E mi arrendo a questa vita?
Io son forte, io sono viva
e voglio raggiungere la riva.
E raccolgo la mia forza
e richiamo in me la vita
dormirò, riposerò e una
volta ancora ricomincerò.
(Poesia scritta e recitata da Angela)
Tags: forza |
Ho vagato e poi vagato
e dovunque sì ho cercato
camminando camminando
ho percorso tutto il mondo
e a chiunque domandavo
la risposta non avevo.
Sono qui, che vago ancora
ed è giunta la mia ora
e non ho ancora ben capito
il perchè della mia vita.
(Poesia scritta e recitata da Angela)
Tags: vita |
I corpi sparsi
come tante marionette,
e sangue intorno
che sembra il mare al tramonto.
Occhi aperti a guardare il cielo
che qui, nel deserto, sembra più vicino.
Labbra contratte
per la rabbia e il dolore.
Mani serrate
nello sforzo di vivere.
Quante foglie cadute
nel vento d’Inverno.
Quanti rami nudi
all’alba di domani.
(Poesia scritta e recitata da Angela)
Tags: guerra |
Nu pianefforte ‘e notte
sona luntanamente,
e ‘a musica se sente
pe ll’aria suspirà.
E’ ll’una: dorme ‘o vico
ncopp’a sta nonna nonna
e’ nu mutivo antico
‘e tanto tiempo fa.
Dio, quante stelle ncielo!
Che luna! E c’aria doce!
Quanto na bella voce
vurrìa sentì cantà.
Ma sulitario e lento
more ‘o mutivo antico;
se fa cchiù cupo ‘o vico
dint’a ll’oscurità.
Ll’anema mia surtanto
rummane a sta fenesta.
Aspetta ancora. E resta,
ncantànnose, a penzà.
(Letta da Eddangela)
Tags: anima, dialetto and estate |
La donzelletta vien dalla campagna,
in sul calar del sole,
col suo fascio dell’erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e di viole,
onde, siccome suole,
ornare ella si appresta
dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
su la scal a filar la vecchierella,
incontro là dove si perde il giorno;
e novellando vien del suo buon tempo,
quando ai dì della festa ella si ornava,
ed ancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei
ch’ebbe compagni dell’età più bella.
Già tutta l’aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre
giù da’ colli e da’ tetti
al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
su la piazzuola in frotta,
e qua e là saltando
fanno un lieto romore:
e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore,
e seco pensa al dì del suo riposo.
Poi, quando intorno è spenta ogni altra face,
e tutto l’altro tace,
odi il martel picchiare, odi la sega
del legnaiuol, che veglia
nella chiusa bottega alla lucerna,
e s’affretta, e s’adopra
di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.
Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l’ore, ed al travaglio usato
ciascun in suo pensier farà ritorno.
Garzoncello scherzoso,
cotesta età fiorita
è come un giorno d’allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo’: ma la tua festa
ch’anco tardi a venir non ti sia grave.
(Letta da Eddangela)
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